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Editoriale Ogni volta unica la fine del mondo

Le sere turchine d’estate andrò nei sentieri,
Punzecchiato dal grano, calpestando erba fina:
Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi.
E lascerò che il vento m’inondi il capo nudo.

Non dirò niente, non penserò niente: ma
L’amore infinito mi salirà nell’anima,
E andrò lontano, più lontano, come uno zingaro
Nella Natura, – felice come con una donna.

Arthur Rimbaud

Nel cuore dell’inverno ho scoperto in me un’invincibile estate.
Albert Camus

Cerco l’estate tutto l’anno
E all’improvviso eccola qua
Lei è partita per le spiagge
E sono solo quassù in città…
Adriano Celentano

 

«Filastrocca vola e va / per lo spettatore rimasto in città»: programma estivo del Piccolo Teatro di Milano in tre movimenti

14 giugno 2021.
«Giro girotondo / casca il mondo / casca la terra / tutti giù per terra…»
Siamo ormai giunti al limitar dell’estate. Dopo gli algidi scontenti invernali e le crudeltà primaverili color di lillà, la stagione affocata che avvampa, con le sue tumide labbra di ciliegie, le sue guance seriche di pesca, i biondi sopraccigli di grano, un enigmatico carciofo piantato in mezzo al petto à la manière d’Arcimboldo, sta per bussare alle nostre porte e mai come quest’anno – dopo la seconda ondata pandemica, il confinamento, il peso straziante delle perdite, le angustie per il domani e la volontà di rimettersi in gioco, la paura, il desiderio, la rabbia, l’impotenza – porta con sé, insieme alle speranze della campagna vaccinale e alla certezza di riscatto, una voglia di rigenerazione, di altrove, di aria, di libertà. In un frenetico carosello di ombrellini e ombrelloni e bastoni da passeggio, papaveri lampeggianti dal rosso smagliante e morbida polvere, scricchi di cicale e treni dei desideri in fuga all’impazzata, è da queste considerazioni che ha preso le mosse la progettazione dell’estate del Piccolo Teatro di Milano: dall’esatta consapevolezza della necessità di esserci (in un momento così particolare per la vita della nostra comunità) e di starci in sicurezza (per assecondare la prepotente esigenza di condivisione di queste settimane senza peraltro disperdere i vantaggi faticosamente costruiti nei mesi scorsi nella lotta contro il virus), così come dal bisogno di ascoltare, o quanto meno di tentare di interpretare le urgenze e le aspettative del momento (riconoscendole e cogliendone lo spirito, senza arrendervisi in maniera prona), dando al tempo stesso risposte a questioni che, volenti o nolenti, la pandemia ha consegnato al nostro teatro, quali: che relazioni si danno, oggi, tra spazio aperto e spazio chiuso? E ancora: se il teatro è specchio di una città, come il teatro può abitare le “città-in-cambiamento” di questo difficile torno di tempo così strano e sospeso?

Arieggiando le note dell’Estate vivaldiana, in bilico tra nostalgia struggente e ossessivo e tenace frinire di vita, è nata così, per il pubblico del Piccolo Teatro di Milano, una proposta di appuntamenti scandita essenzialmente in tre tempi o movimenti, non consequenziali l’uno rispetto all’altro, ma simultanei, in un gioco di contrappunti pensati per spostare continuamente lo sguardo sulle cose, illuminando di volta in volta temi, questioni ed emozioni di luci al possibile diverse e spiazzanti.

In un primo movimento – posto significativamente sotto il titolo: Ogni volta unica la fine del mondo, in omaggio a Derrida – si è scelto di ragionare insieme, a partire dal teatro e dalle sue irriducibili specificità, sul problema, oggi cruciale, della “sostenibilità”, colta nella sua accezione più lata (svariante dalle valutazioni degli impatti climatici del nostro agire alla ricerca e alla promozione dell’integrazione sociale) e sforzandosi, ove possibile, di uscire dal consueto approccio umanistico (e antropocentrico) per abbracciare l’ammaliante bellezza del creaturale in tutta la sua brulicante vastità sciolta per «lo gran mar de l’essere». Nella convinzione che il teatro sia in primo luogo una casa per artiste e artisti, ci si è rivolti dunque a tre realtà artistiche della scena, per l’appunto – Marta Cuscunà, Marco D’Agostin e il collettivo lacasadargilla –, chiedendo loro di immaginarsi, prima ancora che come creatrici e creatori, come curatrici e curatori di una rassegna che potesse rispondere a più obiettivi contemporaneamente. La promozione tra il pubblico di una sensibilità alle problematiche del sostenibile in tutte le sue varie implicazioni nel tentativo di dare un piccolo contributo, in forma di discussione, alla crescita della nostra comunità. La messa a punto di un piano di azioni ed esperienze grazie alle quali il teatro potesse incontrare ciò che non è teatro per nutrirsi (in un certo senso anche in prospettiva autopedagogica) di questo dialogo, uscendo dalla tentazione dell’autoreferenzialità. L’elaborazione di una diversa modalità di promozione e comunicazione del proprio percorso artistico, non legata al racconto o all’esposizione diretti dello stesso, ma filtrata attraverso il catalogo delle proprie curiosità, dei propri interlocutori, dei propri interessi. Un modo nuovo, insomma, di presentare al pubblico se stessi e il proprio lavoro. Ne è nato un itinerario articolato e multiforme, punteggiato di reading, performance, installazioni, pensieri, conversazioni, pratiche, laboratori, incentrato soprattutto sul Chiostro Nina Vinchi (plastica sintesi di un chiuso che si apre o di un aperto in cerca della propria concentrazione), in cui il teatro, prima ancora che come protagonista, si pone come punto di osservazione, in un dialogo con la scienza e le scienze, ancora oggi debitore dell’adagio brechtiano secondo il quale «i grandi e complicati avvenimenti» della modernità (e dei suoi molti dopo) «non possono essere sufficientemente riconosciuti in un mondo di uomini che non si provvedano di tutti gli strumenti» scientifici e filosofici «utili ad intenderli». Posto che un approccio di questo tipo non vuole «complicare le cose», ma parte semmai dalla constatazione che «le cose sono complicate», sull’onda di una schietta adesione all’invito di Calvino, oltre che ad esaltare la «molteplicità», a perseguire strenuamente la «leggerezza», nella concezione di un simile programma altrettanto convinta è la condivisione della fede, sempre brechtiana, nel fatto che «il teatro rimane teatro, anche se è teatro d’insegnamento; e, nella misura in cui è buon teatro, è anche divertente». A svelta chiosa di queste note, si aggiunga pure che l’attraversamento teatrale dei problemi della sostenibilità, abbozzato in questa suite di appuntamenti estivi in Chiostro, non è che il prodromo di un più ampio progetto dedicato a questi temi che negli anni a venire il Piccolo Teatro di Milano, nel quadro di un fitto scambio con il Politecnico, intende sviluppare in dialogo con l’Unione Europea (tra Creative Europe e New European Bauhaus), obbedendo a precise sollecitazioni di altre scene d’Oltralpe. Una sorta di piccolo manifesto pratico-teorico, dunque, questa rassegna Ogni volta unica la fine del mondo – manifesto da realizzare, poi, nel concreto farsi di nuovi spettacoli. O un laboratorio/palestra, se si preferisce, per saggiare linguaggi e attrezzarsi alle sfide che ci attendono domani.

Se il «povero B.B.» così caro al Piccolo Teatro è un po’ il nume tutelare del primo movimento della nostra programmazione estiva, è invece il motto stesso della nostra Fondazione a diventare stella polare per il secondo movimento: Incursioni/Escursioni. Con il suo invito ecumenico a fare del palcoscenico il luogo deputato al riunirsi della comunità nel suo complesso, la formula «teatro d’arte per tutti», coniata da Paolo Grassi e Giorgio Strehler per perimetrare la propria idea di teatro, porta in sé, infatti, con ogni evidenza, un preciso progetto “politico” di relazione teatro/città. Ed è appunto per riflettere, nel concreto farsi di una esperienza, sui modi attraverso i quali il palcoscenico può obbedire alla propria intima vocazione pubblica e civica, appunto, dando concreto corso all’invito dei padri fondatori a dialogare teatralmente con tutte e tutti, che si sono tracciate le traiettorie di un attraversamento fisico della città da parte del teatro, sviluppando, a partire dalla sua mappa, il secondo movimento della nostra estate. In una ponderata dialettica di opposte spinte centripete e centrifughe – depositaria, nel nostro presente post-pandemico, dei diversi equilibri (e con ciò stesso dei diversi destini) di tutte le città possibili nel segno delle differenti sintesi che a tale dialettica possono essere ispirate –, con i propri appuntamenti ora incastonati tra le mura delle sede storica di via Rovello (alla scoperta dell’identità di Palazzo Carmagnola), ora dispersi en plein air nella ragnatela della città –  sulla scacchiera dei vari Municipi –, Incursioni/Escursioni, nei limiti a vari livelli imposti dalle restrizioni sanitarie in atto, si pone quindi come un tentativo – ovviamente provvisorio e in continuo divenire – di far luce sull’essenza di un teatro che sia – a tutti gli effetti e in tutti i sensi, da quello materiale-letterale a quello ideale-contenutistico – a “misura” di città.

In ultimo, a mo’ di esergo della prossima stagione, proprio nell’estate che vede ricorrere il centesimo anniversario dei natali di Giorgio Strehler (nato a Barcola, Trieste, il 14 agosto 1921), un terzo movimento non poteva non essere dedicato a celebrare la memoria del grande regista – una memoria non sterilmente fine a se stessa, ma capace di confrontarsi con il presente, dandogli forza e sostanza. Nel 1947, proprio sul limitare dell’estate, il Piccolo Teatro di Milano, figlio dei sogni e delle utopie di due ragazzi come Strehler e Grassi – allora rispettivamente ventiseienne e ventottenne –, diede un apporto fondamentale nel definire la nuova identità della Milano postbellica, contribuendo in maniera significativa ad immaginare il futuro della nostra comunità. Cosa il teatro, l’arte e la cultura possono fare oggi per tracciare le vie su cui cammineranno i nostri domani?

Nel licenziare queste righe, da ricordare pure le molte collaborazioni che andranno a completare la programmazione estiva degli spazi del Piccolo Teatro di Milano. Anche per il prossimo settembre continuerà il dialogo fecondo con “NEXT – Laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo”, così come proseguirà il confronto con il Festival “Tramedautore” promosso da “Οὔτις – Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea” e con “MiX – Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer”. Nel quadro delle celebrazioni del centenario dantesco, da menzionare, infine, anche la collaborazione per il prossimo settembre con la “Società del Quartetto di Milano”.

Nell’augurare una buona estate a tutte e tutti – per chi viene e per chi va, tra dentro e fuori, centro e dintorni –, non resta che riandare ai versi conclusivi della famosa tiritera ferragostana di Gianni Rodari (ricordata anche nel titolo):

Quando divento Presidente
faccio un decreto a tutta la gente;
“Ordinanza numero uno:
in città non resta nessuno;
ordinanza che viene poi,
tutti al mare, paghiamo noi,
inoltre le Alpi e gli Appennini
sono donati a tutti i bambini.
Chi non rispetta il decretato
va in prigione difilato”.

 

Prof. Claudio Longhi
Direttore Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa

Piccolo Teatro

Sede legale: Via Rovello 2, 20121 Milano
P.IVA 00802230151


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Piccolo Teatro New European Bauhaus

Biglietteria
02.21126116

Orari di apertura


Teatro Strehler

Largo Greppi 1 – M2 Lanza 

Teatro Studio Melato

via Rivoli 6 – M2 Lanza 

Teatro Grassi

via Rovello 2 – M1 Cordusio 

Chiostro Nina Vinchi

Via Rovello, 2 – M1 Cordusio 

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