Giorgio Strehler

Giorgio Strehler nasce il 14 agosto 1921 a Barcola (Trieste), in una famiglia in cui si intrecciano lingue e culture: slavo il nonno, francese la nonna, di origini viennesi il padre. Rimasto orfano del padre in giovanissima età, a sette anni si trasferisce con la madre, violinista di fama, a Milano. Assistendo alla rappresentazione di Una delle ultime sere di Carnovale di Carlo Goldoni, rimane folgorato dal teatro e si iscrive all’Accademia dei Filodrammatici, dove si diploma nel 1940.

Il debutto alla regia avviene nel 1943, a Novara, con tre atti unici di Pirandello. Ostile al regime fascista, nel gennaio 1944 lascia l’Italia e si rifugia in Svizzera, dove continua a fare teatro: con una compagnia di soli uomini, nel Campo di Mürren, poi a Ginevra, dove fonda la Compagnie des Masques e firma gli spettacoli con lo pseudonimo Georges Firmy, dal cognome della nonna materna. Terminata la guerra, Strehler prosegue l’attività in una Milano ferita, eppure animata da un forte desiderio di rinascita.

Il 14 maggio 1947 il sipario si alza su L’albergo dei poveri di Maksim Gorkij, titolo che Paolo Grassi e Giorgio Strehler, con l’insostituibile Nina Vinchi, hanno scelto per inaugurare il Piccolo Teatro, la sala di via Rovello riconquistata all’arte e alla poesia dopo la guerra. Strehler stesso è in scena nel ruolo del ciabattino Alioša. Appena due mesi prima, aveva debuttato al Teatro alla Scala con La traviata di Giuseppe Verdi. E se già nel 1947 Strehler comincia a scrivere il “romanzo di Arlecchino”, l’altro dato che colpisce è l’immediata internazionalità: i suoi spettacoli vanno in scena, con successo, a Milano, in Italia e nel mondo.

Strehler predilige i classici – William Shakespeare, Anton Čechov, Carlo Goldoni, Henrik Ibsen, Georg Büchner – accanto ai contemporanei, tra cui il premio Pulitzer Thornton Wilder, Tennessee Williams, Albert Camus, Ernst Toller, senza dimenticare Luigi Pirandello. Per tradurre i testi stranieri, ancora inediti in Italia, è frequente la collaborazione con scrittori, poeti, intellettuali – tra gli altri Salvatore Quasimodo, Cesare Vico Lodovici, Carlo Bo e Vittorio Sereni – a sottolineare il ruolo culturale che il Piccolo va conquistando sul campo, stagione dopo stagione.

Giorgio Strehler mette a punto la propria cifra stilistica focalizzando la sua attenzione sull’uomo, come individuo e come essere sociale, in un’indagine insieme storica e poetica. In quest’operazione, in cui si rivelano fondamentali “i testi di Čechov e il Goldoni della Trilogia della villeggiatura” (1954), decisivo è l’incontro con Bertolt Brecht: dall’Opera da tre soldi (1956), passando per Schweyk nella Seconda Guerra mondiale (1961) fino a Vita di Galileo (1963), prende forma una personale visione del teatro epico, in cui l’impegno didattico e politico si rivitalizza nel calore di un teatro profondamente umano. La riflessione scaturita dal lavoro su Brecht si riflette in molti degli allestimenti di quegli anni: dal Coriolano di Shakespeare (1957) al profondo ripensamento cui viene sottoposto l’Arlecchino servitore di due padroni (1956 e 1963), fino al recupero della drammaturgia milanese popolare con El nost Milan di Carlo Bertolazzi (1955). Le musiche sono di Fiorenzo Carpi, al fianco di Strehler fin dalla fondazione del teatro.

In parallelo all’imporsi del Piccolo come una delle più importanti realtà teatrali a livello europeo, si ha il progressivo ampliarsi del pubblico, andando a realizzare compiutamente l’idea di un Teatro d’Arte per tutti. Alla sala di via Rovello si aggiunge il vasto spazio del Teatro Lirico, ed è qui che Strehler mette in scena, a metà degli anni ‘70, tre allestimenti memorabili: Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni (1964), la seconda edizione dei Giganti della montagna di Luigi Pirandello (1966) e il monumentale Gioco dei potenti, spettacolo kolossal in due giornate, che condensa le tre parti dell’Enrico VI di William Shakespeare (1965). Il 1965 è anche l’anno in cui Strehler allestisce una memorabile edizione de Il ratto dal serraglio di Mozart al Festival di Salisburgo.

Nell’inquieto clima della contestazione, gli interrogativi sul proprio ruolo di regista e sulle modalità produttive fino ad allora adottate inducono Strehler, nell’estate del 1968, ad allontanarsi da via Rovello per fondare un nuovo gruppo, Teatro e Azione, su basi cooperativistiche. Al Piccolo rimane Paolo Grassi come direttore unico. Strehler riprende la collaborazione con il Piccolo nel 1970, allestendo la Santa Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht (nel mese di luglio al Maggio Musicale Fiorentino, in dicembre al Teatro Lirico di Milano). Il rientro in città contempla anche la messa in scena di Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi per l’inaugurazione del Teatro alla Scala il 7 dicembre 1971.

Tornato alla guida del Piccolo con un indimenticabile allestimento del Re Lear di William Shakespeare (1972), Strehler firma una serie di capolavori, divenuti pietre miliari nella storia della regia del Novecento. Testi messi in scena in passato (L’opera da tre soldi, 1973; Arlecchino servitore di due padroni, 1973 e 1977; Il giardino dei ciliegi, 1974; La tempesta, 1978; El nost Milan, 1979; L’anima buona di Sezuan, 1981) rivivono sotto una nuova luce, supportati da invenzioni di straordinaria forza poetica ed estetica, accanto ad altri titoli degli autori più frequentati (per tutti, Il campiello di Goldoni, 1975).

Parallelamente secondo una personalissima ricerca artistica, Strehler si cimenta per la prima volta con Jean Genet (Le balcon, 1976), August Strindberg (Temporale, 1980), Samuel Beckett (Giorni felici, 1982), Gotthold E. Lessing (Minna von Barnhelm, 1983), Eduardo De Filippo (La grande magia, 1985). Nel 1974 esce il volume Per un teatro umano, nel quale illustra i fondamenti della sua pratica teatrale. Come regista lirico, sempre dell’amato Mozart, porta in scena Le nozze di Figaro a Versailles (1973), in un allestimento di grande successo, poi riproposto al Teatro alla Scala nel 1981. Due le indimenticabili regie verdiane, Macbeth nel 1975 e Falstaff nel 1980.

La creazione del Théâtre de l’Europe, a Parigi, nel 1983 – embrione di quello che sarà, a partire dagli anni ‘90, l’Unione dei Teatri d’Europa – realizza il sogno di Strehler di un teatro sovranazionale, in cui culture diverse possano dialogare e arricchirsi vicendevolmente. Sempre nel corso degli anni ‘80, Strehler si dedica attivamente alla politica: dal 1983 come parlamentare europeo, nelle file del PSI, dal 1987 a Palazzo Madama, come Senatore della Sinistra Indipendente.

Con Elvira, o la passione teatrale, dalle lezioni di teatro di Louis Jouvet, s’inaugura nel 1986 il Teatro Studio, realizzato da Marco Zanuso riprogettando l’ottocentesco Teatro Fossati. È Strehler a calarsi nei panni di Jouvet – che considera uno dei suoi maestri, traducendo in scena il valore della relazione con gli attori e l’importanza della didattica teatrale. Segue, nel 1987, la creazione della Scuola di Teatro del Piccolo, la cui sede è fissata al Teatro Studio, a sottolineare lo stretto legame tra teoria e palcoscenico. Con Don Giovanni (Teatro alla Scala, 1987), dopo le Nozze, esplora la seconda delle opere della trilogia dell’amore di Mozart-Da Ponte.

Dopo una riflessione sul tema dell’identità, con il pirandelliano Come tu mi vuoi (1988), Strehler si dedica al Progetto Faust: anni di studi e approfondimento approdano a due spettacoli, Faust, frammenti parte prima (1989) e Faust, frammenti parte seconda (1991). Nel ruolo del protagonista, il Maestro dà vita a una profonda meditazione sul senso dell’esistenza umana. La terza edizione dei Giganti della montagna (1994), le riletture con cui Strehler celebra il Bicentenario goldoniano (ArlecchinoLe baruffe chiozzotte e Il campiello), il progetto di uno spettacolo dai Mémoires, splendida autobiografia del drammaturgo veneziano e sintesi di una vita dedicata al teatro, si offrono come una profonda testimonianza, artistica e umana; la grazia del gioco teatrale dell’Isola degli schiavi di Marivaux (1994) suggerisce un ottimistico cammino di conoscenza.

A pochi mesi dai festeggiamenti per il 50° della fondazione del Piccolo, Strehler si appresta a una nuova avventura, il Così fan tutte di Mozart, per inaugurare il teatro di Largo Greppi, nuova sede del Piccolo, finalmente ultimato. Strehler concepisce la messinscena come la conclusione del suo progetto sulla trilogia dell’amore di Mozart e Da Ponte: dopo Le nozze di Figaro sulla variabilità dei sentimenti e Don Giovanni sulla tragicità delle passioni, Così fan tutte è una riflessione sulla pietosa bugia dell’amore. La morte, che lo coglie la notte di Natale del 1997, non gli consente di assistere a questo ennesimo debutto, che risuonerà come un ultimo, commovente saluto.