Laboratorio a cura di Davide Enia e realizzato dal Piccolo Teatro Milano in collaborazione con Municipio 7, nell’ambito del progetto Sguardi (d’)insieme – “Milano è Viva nei quartieri”
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«In questo momento storico, carico di ansie e incertezze, credo sia necessario rinegoziare il vocabolario delle arti sceniche e performative, provando a costruire un dialogo interdisciplinare. Prima tappa di questo progetto è il lavoro su una delle pietre angolari dell’espressione artistica: il coro.» (Davide Enia)
Il coro storicamente nasce come una danza in cerchio, spesso accompagnata dal canto. Nel tempo, il suono delle sillabe cantate iniziò a formare nuclei di senso sempre più profondi, fino ad arrivare a coincidere, nelle tragedie, con lo sguardo della collettività. Il coro così era in grado di pronunciare giudizi capaci di andare oltre il semplice accadere delle cose del mondo. Il coro era diventato una soglia per osservare oltre, un gradino per le altre dimensioni.
Oggetto di studio del laboratorio è quindi il lavoro sulle potenzialità del coro, sulla possibilità di movimento mentre si canta e sull’improvvisa epifania del silenzio dentro una partitura. Si approfondiscono così la dimensione del canto, le possibilità di costruzioni armoniche, l’alternanza tra polifonia e voce sola, usando tutto lo spazio a disposizione per investigare le possibilità insite nel movimento e nelle diverse disposizioni in scena.
Il tema guida è quello del cerchio, della circolarità del canto come unione di fine e principio, lavorando su strutture capaci di ripetersi potenzialmente all’infinito e che trovano invece la propria ragione d’essere nell’essere cantate, agite, vissute nel momento presente.


Foto © Gianluca Moro
«In questo momento storico, carico di ansie e incertezze, credo sia necessario rinegoziare il vocabolario delle arti sceniche e performative, provando a costruire un dialogo interdisciplinare. Prima tappa di questo progetto è il lavoro su una delle pietre angolari dell’espressione artistica: il coro.» (Davide Enia)
Il coro storicamente nasce come una danza in cerchio, spesso accompagnata dal canto. Nel tempo, il suono delle sillabe cantate iniziò a formare nuclei di senso sempre più profondi, fino ad arrivare a coincidere, nelle tragedie, con lo sguardo della collettività. Il coro così era in grado di pronunciare giudizi capaci di andare oltre il semplice accadere delle cose del mondo. Il coro era diventato una soglia per osservare oltre, un gradino per le altre dimensioni.
Oggetto di studio del laboratorio è quindi il lavoro sulle potenzialità del coro, sulla possibilità di movimento mentre si canta e sull’improvvisa epifania del silenzio dentro una partitura. Si approfondiscono così la dimensione del canto, le possibilità di costruzioni armoniche, l’alternanza tra polifonia e voce sola, usando tutto lo spazio a disposizione per investigare le possibilità insite nel movimento e nelle diverse disposizioni in scena.
Il tema guida è quello del cerchio, della circolarità del canto come unione di fine e principio, lavorando su strutture capaci di ripetersi potenzialmente all’infinito e che trovano invece la propria ragione d’essere nell’essere cantate, agite, vissute nel momento presente.


Foto © Gianluca Moro