«Ogni epoca ha un paio di libri, non di più, che la riassumono completamente. Al punto tale da esserne una sorta di catalogo. Il Novecento è L’Interpretazione dei sogni di Freud. Noi siamo figli di quel libro. Ecco la necessità e la bellezza di dedicare una produzione di questa importanza a un’opera forse mai portata in scena». Così l’autore, Stefano Massini, spiega le motivazioni di un impegno artistico che l’ha portato ad elaborare per le scene il lavoro principale di Freud interpolandolo con altri suoi scritti.
«È una Bibbia della nostra contemporaneità. È il racconto dell’uomo che, lasciato solo, decide di fare chiarezza guardandosi dentro. Durante lo spettacolo, Freud analizza i sogni, racconta le visite con i suoi pazienti, racconta i propri stessi sogni. Ma il gioco di meccanismi, per cui tutto ciò che nel sogno appare camuffato è in realtà profondamente motivato da metafore, è di una poesia strepitosa. Il modo in cui questi personaggi si presenteranno a Freud – continua Massini – è come un mosaico di casi e di personaggi diversi, ciascuno dei quali porta un enigma. È un’umanità ricchissima, di età diverse, che dà origine a racconti in certi casi lucidissimi, in altri casi profondamente grotteschi che Freud cerca di risolvere come se fossero dei casi polizieschi».
Tutto questo in una messa in scena che si presenta come «un’avventura del pensiero e del linguaggio», racconta il regista Federico Tiezzi. «Si assiste all’emozionante e graduale scoperta di un metodo: decrittare il geroglifico del sogno per arrivare all’interpretazione della realtà, un linguaggio che permetta di dare un senso al mondo e alle cose. Questo linguaggio e questo metodo vengono creati attraverso l’esame approfondito dei sogni di molti pazienti. E noi assistiamo alla costruzione emozionante e graduale di un sistema interpretativo del mondo, non solo del sogno. Perché il sogno, come dice Freud, è fatto con materiali di scarto della nostra psiche, non con i materiali essenziali, non con quelli prioritari della nostra interiorità».
«La struttura di questo testo – spiega ancora Tiezzi – è molto simile, nella sua rapidità, alla drammaturgia del montaggio cinematografico: come in un film di Hitchcock il lettore e lo spettatore desiderano arrivare al punto finale, alla scoperta, alla soluzione. Al Teatro. Non solo: nel testo esiste un solo Freud. Ma ho pensato che nello spettacolo possa essere sdoppiato in due. Questo è un testo dello specchio, dello sdoppiamento, del sogno nel sogno, della scatola che contiene un’altra scatola. Il protagonista può scindersi in due parti, una riflessiva, autoanalitica: il Freud che scrive. Dall’altra c’è un Freud che agisce, che sta insieme ai suoi pazienti-personaggi e interagisce con loro. Capiterà anche che questi due Freud discutano tra loro e che lo studio di Freud sia in realtà un luogo di passaggio, un mondo sospeso, una soglia tra la realtà e l’interiorità».
Alla fine del primo atto ci sarà una breve scena di nudo.
Durata:
due ore e 30 minuti più intervallo
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