Diretto da Carmelo Rifici, Uomini e no è stato pensato e creato – spiega il regista – «per dare a un gruppo di giovani attori l’opportunità di mettersi alla prova in un repertorio non tradizionale, con una drammaturgia scritta da Michele Santeramo e tratta dal romanzo che Elio Vittorini pubblicò nel 1945».
Ambientato a Milano tra la primavera e l’autunno del 1944, il testo racconta le vicende di un gruppo di partigiani impegnati in una serie di azioni di contrasto all’occupazione nazifascista della città. «La scelta di Uomini e no – continua Rifici –, condivisa con Stefano Massini e Sergio Escobar, si inserisce nella proposta di drammaturgia contemporanea del Piccolo Teatro. Eravamo interessati a un testo che parlasse di Milano e fosse anche fertile terreno di lavoro sulla lingua italiana, dal momento che doppiaggio, cinema e tv hanno spesso snaturato il rapporto delle ultime generazioni di attori con la lingua letteraria. Milano è il luogo realistico e metaforico insieme in cui svolgono sia gli eventi storici narrati sia la vicenda umana di Enne 2, il protagonista – dietro al quale si intuisce il pensiero dello stesso Vittorini – impegnato a combattere contro un se stesso sempre meno umano».
I protagonisti di Uomini e no sono ragazzi intorno ai vent’anni, scaraventati nella tragedia della guerra civile, in un mondo reso talmente caotico dal conflitto. Eppure, incredibilmente, gli eventi tragici da cui sono travolti regalano a quei giovani una sorta di stupore.
«I venticinquenni di oggi– conclude Rifici – hanno quello stesso stupore? Volevo che recuperassero un elemento immaginifico, antico, scaturito da una realtà storica che dovrebbe ancora toccarci. Vittorini ci aiuta a riscoprire una sorta di meraviglia, nell’amore, nell’amicizia, nei rapporti umani, che apparteneva a un’epoca così complessa come la prima metà del Novecento ma oggi è inesorabilmente andata perduta».
All’uscita del romanzo Elio Vittorini fu oggetto di forti critiche, a partire dal titolo stesso che sembrava dividere le due parti coinvolte nel conflitto in “umana” e “disumana”. In realtà l’opera di Vittorini, tutt’altro che banalmente manichea, è complessa, a tratti ambigua, e perciò estremamente attuale.
«Il testo – conclude Rifici – ha il dono di mostrare il contagio della violenza, malattia che ammorba entrambe le fazioni nella direzione di una pericolosa somiglianza. Oggi è molto difficile rintracciare contrapposizioni ideologiche tanto estreme: purtroppo quel germe di indifferenziazione cui allude Vittorini è esploso in tutta la sua evidenza».
Durata:
due ore e 18 minuti compreso intervallo
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